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Diana, la ragazza dalla penna d’oro

Ora scoprirete finalmente come mai il mio soprannome è sempre stato dia43 e come mai mi sono spesso firmata La ragazza dalla penna d’oro.

Buona visione, dovete aver installato Adobe Spark per guardare il video. Se avete problemi fatemi sapere e provvedo. Intanto lascio qui il testo scritto.

🐬~♡Marzo 1985♡~🐬

Diana correva in riva al mare. Il vento era alto quel giorno e i suoi capelli, lunghissimi, ricci e neri come il nero di seppia che cucinava Cassandra erano scaraventati da una parte all’altra secondo una sorta di danza armoniosa. A Diana piaceva correre. La faceva sentire libera. Poi si tuffò in acqua e iniziò a gettare schizzi da ogni parte. Per fortuna arrivò sua madre a recuperarla. “Diana, ma che fai, non è ancora iniziata la primavera. Fa troppo freddo per entrare in acqua e poi sei tutta vestita. Vieni qui, fatti asciugare. »

“Si mamma» disse Diana avvicinandosi alla madre.

Dafne, la madre di Diana, era abituata a vedere la figlia che scappava per andare al mare. Era diventata ribelle non appena era uscita dalla sua pancia e aveva potuto iniziare a camminare sulle sue gambe. E ora, che aveva già sette anni, il tempo le sembrava sfuggito di mano. «Ora torniamo a casa e ti faccio preparare un bel bagno caldo da Cassandra, d’accordo. »

«Sì, mamma. Domani andiamo a fare un giro in barca, io te e papà? »

«Ma certo mia cara. Dobbiamo solo vedere se papà non ha da lavorare, ma se non è domani sarà un altro giorno”

«Va bene, l’importante è che ci andiamo. Te l’ho detto che io sono una sirena? Anzi, sono la dea dell’acqua e diventerò regina di Corfù. Esiste già una regina a Corfù»

«No»

«Allora sarò io la prima regina» disse Diana ridendo.

«Sei già una bellissima principessa, ti basta crescere per diventare regina»

Come promesso, Cassandra le fece trovare una vasca piena di acqua calda al suo ritorno e per cena venne servito il piatto preferito di Diana, gli spiedini di pollo alla greca con tzatziki. Finì subito il piatto e poi si rifugiò in camera sua. Voleva appuntarsi tutte le emozioni e le sensazioni che aveva provato quel giorno. Doveva anche ricopiare in bella una breve poesia che aveva scritto in riva al mare. Diana amava scrivere, soprattutto poesie. Il suo maestro di lettere le diceva che era portata per la scrittura e che non dubitava che quando sarebbe diventata grande i giornali avrebbero parlato di lei e del suo talento. In effetti, a soli sette anni, già scriveva storielle molto carine e poesie altrettanto belle. Si mise il pigiama, si infilò sotto le coperte, sistemò bene il cuscino e iniziò a scrivere il suo diario. Ne teneva uno per ogni anno, ormai da quando aveva cinque anni. All’inizio erano solo disegni e qualche parola, ma ora stavano diventando sempre più ricchi.

Il giorno seguente, come le era stato promesso da sua madre, tutta la famiglia lasciò Corfù per fare un giro in barca. Quel giorno fu diverso dagli altri, tanto che Diana non riuscì ad aspettare e appuntò subito uno schizzo di ciò che aveva visto. Quando la famiglia si era allontanata abbastanza dalla costa comparvero tre delfini. Diana rimase ammaliata da questa sorpresa. Fino ad allora li aveva visti su alcuni libri di animali che leggeva o in alcuni cartoni. Era felicissima. Anche se quell’attimo era durato poco, perché i delfini erano subito andati via, sapeva che avrebbe portato con sé quel ricordo per sempre. «Papà, papà» chiamò forte Diana «Sbrigati e scatta una foto prima che scompaiano. »

Il padre prese la sua macchina fotografica, che era poggiata alla sua destra e scattò una foto, che poi avrebbe fatto stampare e che in seguito Diana avrebbe inserito nel suo terzo diario.

«Grazie papà, ti voglio bene. Voglio bene anche a te mamma, siete dei bravi genitori. Ma quando io divento grande, come faccio ad avervi con me per sempre. La nonna è molto vecchia e malata e il medico dice che tra poco morirà»

«Questo chi te l’ha detto?» chiese la madre, spaventata che Diana lo fosse venuta a sapere.

«Ho sentito che lo diceva a papà l’ultima volta che è venuto a visitare la nonna. Quindi, quando lei morirà, tu mamma non potrai più abbracciarla. Anche tu morirai e io non ti potrò più abbracciare? »

«Tesoro, sì, tutti prima o poi moriamo, ma accadrà tra molto, molto tempo e tu sarai abbastanza matura da superare il dolore più grande, capito? Non devi essere triste già adesso, la vita è lunga e vedrai che la renderemo il più divertente possibile. Mi sembra il caso di dare la buona notizia a Diana adesso. Quest’estate andremo in Sicilia. Il maestro ci ha raccontato che quando ha fatto la lezione di geografia sulla Sicilia, tu sei rimasta colpita dalla sua bellezza»

«Sì, mamma, grazie. È vero, mi piacerebbe tanto andare in Sicilia. È molto simile alla Grecia, ma ancora non la conosco. »

«E dimmi, dove ti piacerebbe andare di preciso?»

«A Taormina, o alle isole Eolie, oppure a Siracusa. Non lo so mamma, la vorrei vedere tutta, posso?»

«Vediamo cosa riusciamo a fare»

Poi il padre aggiunse: «Per te tutto, amore mio».

Quell’estate alla fine riuscirono a girare cinque città della Sicilia. Andarono a Taormina, videro alcune isole delle Eolie e poi Siracusa, Agrigento e fecero anche un escursione sull’Etna. Alla fine della vacanza Diana, che ormai aveva compiuto otto anni, scrisse un libro, sotto forma di pagine di diario, dove parlava della sua avventura in Sicilia, dei bei posti visitati, e delle persone conosciute lì.

Diana crebbe e più tempo passava più si legava all’isola e più scriveva più la gente si accorgeva del suo talento. Le gite in barca non mancavano. I suoi genitori l’estate precedente le avevano fatto fare un giro di tutta la Grecia. Erano passati da Creta, Santorini, Atene, Delfi. Tutta la costa e l’entroterra orientale, da lei mai visto prima. Aveva tredici anni e già stava prendendo le sembianze di una vera signorina. Alle lezioni prendeva sempre ottimi voti. Nell’isola tutti la chiamavano la ragazza dalla penna d’oro, nome alquanto carino per una ragazzina che scrive in ogni momento della giornata. Però c’erano alcune pagine che scriveva che non voleva fare leggere a nessuno. L’unica persona era la sua amica Atena. Si conoscevano fin da quando erano bambine e Atena era per lei come una sorella. Le ragazze trascorrevano molto tempo insieme, chiuse nella stanza a ridere e scherzare o a correre sulla spiaggia. Avevano creato un loro linguaggio segreto, fatto di segni e codici segreti. Avevano creato un intero nuovo alfabeto dove ogni lettera era associata ad una pianta o ad un animale. A seconda del colore veniva espressa un’emozione diversa e invece di scrivere da sinistra a destra, scrivevano dall’alto verso il basso. Quando Diana doveva dare delle spiegazioni diceva sempre “Per me le parole cadono dal cielo, è da lì che prendo ispirazioni»

Quando a dodici anni Diana mostrò il nuovo alfabeto ai genitori, questi ultimi rimasero increduli. Lo fecero vedere anche al maestro che pensò che Diana avesse una mente molto complessa e una fantasia non da poco. Perciò decisero di aggiungere una nuova materia al programma scolastico, ovvero la materia fantasia, dove Diana avrebbe potuto leggere le sue poesie al maestro e lui le avrebbe dato consigli su come migliorare.

A quindici anni Diana aveva scritto il suo primo vero libro. Dopo averlo fatto correggere al suo maestro, cercarono una casa editrice nella zona che fosse disponibile a pubblicare il suo libro. Sapevano che c’erano ancora alcune imperfezioni, ma erano certi che quando la gente avrebbe saputo chi c’era dietro quelle pagine, ovvero una ragazzina greca di soli quindici anni, allora avrebbero fatto a gara a comprarlo, solo per pura curiosità di testare il suo talento. E infatti così fu. Diana non poteva nemmeno uscire di casa che tutti la riconoscevano e le facevano i complimenti. Ovviamente lei era orgogliosa di sé, non poteva negare che era brava. Più veniva apprezzata e più lei scriveva. Scriveva la mattina presto prima di iniziare le lezioni, prima do pranzo dopo aver finito quelle del mattino, la sera tardi prima di addormentarsi. Insomma, ogni volta che trovava un buco disponibile, scriveva. In tutto questo i suoi genitori erano molto presenti. Sua madre, in modo particolare, era come la sua prima critica. Con Atena invece si faceva venire le idee più belle. Atena era molto brava a disegnare perciò, per ogni storia che Diana scriveva, lei realizzava un dipinto. Per il suo talento l’anno seguente sarebbe partita per la Francia a studiare in una scuola d’arte di grande fama. Quando Diana apprese la notizia ci rimase davvero male. “E io come farò senza di te, qui ho solo te come amica» disse lei quella volta.

«Non è vero, hai tanti amici. Io ero la migliore, ma nell’isola tutti ti conoscono e ti ammirano»

«Ma io voglio solo te. Chi mi farà i dipinti per i miei racconti»

«Quando li pubblicherai, io da Parigi li leggerò e poi ti spedirò i miei disegni»

«Certo, mi mancherai Ati.»

«Anche tu, Dia” le due amiche si abbracciarono intensamente. Trascorsero l’ultimo anno insieme facendo più cose possibili. Non volevano sprecare il poco tempo a loro disposizione.

«Quando avrò finito l’accademia potrò tornare se vorrò. E poi tutte le estati verrò qui al mare.» Diceva Atena sempre per consolarla.»

Quando arrivò il giorno della partenza, prima di salutare definitivamente la sua unica vera amica, Diana le consegnò un libricino, tutto scritto con il loro alfabeto segreto. “Te lo ricordi, era il nostro linguaggio segreto. Ho fatto fatica a ricordarmi tutto, dato che sono passati un po’ di anni, ma alla fine è stato facile riprendere ad usare questa scrittura. Fai buon viaggio e divertiti a Parigi. Non vedo l’ora di sentir parlare dell’artista più famosa di tutta la Francia.»

«E io di te, famosa in tutto il mondo»

«Sei sempre esagerata Ati»

«E tu sei speciale»

«Vieni qui» un altro intenso abbraccio. Le due amiche non si erano mai separate fino ad allora. Erano praticamente nate insieme e cresciute insieme, come sorelle. La lontananza avrebbe fatto soffrire entrambe. Ma il pensiero che l’una e l’altra avrebbero fatto ciò che desideravano fare, le rendeva comunque felici.

Dopo la partenza di Atena, Diana riprese la vita di prima. Andava sempre a lezione, scriveva romanzi e poesie e per colmare il vuoto creato dalla sua amica cercò di seguire il talento di Atena. Si iscrisse ad un corso sulla lavorazione della ceramica. Si realizzavano vasi e a volte anche gioielli con altri materiali. Si scoprì brava anche in questo mestiere. Forse era solo la passione che rendeva talentuose le persone e in quel momento Diana si sentiva di poter fare di tutto. Casa sua, in modo particolare la sua cameretta, si riempì di vasi, soprammobili, oggetti piccolini simili a bomboniere, insomma, le pareti faticavano a respirare.

Diana crebbe ancora. Aveva sedici anni e si diceva che fosse la ragazza più bella di tutta l’isola. Quell’estate sarebbe andata in Francia a trovare Atena. Le due amiche si sentivano spesso. Quando poteva Atena veniva a Corfù, ma Diana non era mai riuscita ad andare a Parigi. Quell’anno pero l’avrebbe fatto e non vedeva l’ora.

L’estate si avvicinava e Diana stava lavorando per un nuovo romanzo. Continuava a studiare anche perché l’anno dopo sarebbe dovuta andare ad Atene per sostenere l’esame di maturità. Non era affatto preoccupata, anche perché continuava ad avere ottimi voti. Le piaceva studiare. Da grande avrebbe voluto viaggiare e visitare ogni angolo del mondo. Da quella volta che i suoi l’avevano portata in Sicilia le si era aperto un mondo. Una volta presa la maturità sarebbe partita per il Sud America. Amava gli ambienti esotici e tutta la fauna del luogo.

Un giorno di primavera sua madre entrò in camera sua portandole la colazione. «Buongiorno amore mio, buon compleanno»

«Grazie ma, non c’era bisogno.»

«Ti ho portato i biscotti all’anice, i tuoi preferiti»«Allora hai fatto bene»

«Come ci si sente ad essere diciassettenne. Sei una donna ormai»

«Fa un bell’effetto ma. Stavo pensando ad Atena. Aveva promesso che ci sarebbe stata oggi»

«Lo so cara, ma avrà avuto un contrattempo all’accademia.»

«Si, ma è un giorno importante e non capita tutti i giorni di compiere diciassette anni»

«Proprio per questo oggi faremo una cosa insolita.»

La curiosità di Diana crebbe non appena sentì le parole di sua madre: “Sarebbe? »

«Ti ricordi che quando avevi sei anni abbiamo visto i delfini? »

«E come dimenticarlo, solo che non sono più tornati.»

«Questa volta però sì. Tuo padre mi ha detto che li hanno avvistati dei pescatori l’altra notte.»

«Davvero? Non ci credo. Tirami un pizzicotto, sto sognando”

«Sognerai stanotte. Ora alzati e preparati, partiamo tra poco.» Sua madre le si avvicinò per darle un bacio in fronte, ma si accorse che Diana scottava. “Tesoro sei caldissima. Ti faccio portare un te caldo e delle bende fredde. Hai la febbre e anche alta.»

«E i delfini?»

«I delfini li vedremo un altro giorno. È più importante la tua salute.»

«Ma io sto benissimo, vedrai che l’aria di mare mi guarirà»

«Invece io credo che ti prenderesti una polmonite»

«Allora andate voi, non voglio che rinunciate per me e poi voglio una foto dei delfini»

«Ma è il tuo compleanno»

«o starò con Cassandra e non appena troverete un delfino, tornerete da me e festeggeremo tutti insieme»

«D’accordo. Ma se per l’ora di pranzo non avvistiamo alcun delfino, io e tuo padre torniamo indietro.»

«Va bene ma»

«Mangia i biscotti, Cassandra li ha sfornati stamattina.»

Sua madre uscì dalla stanza e richiuse la porta alle sue spalle.

Erano le due passate e i suoi genitori non erano ancora tornati. Diana non era preoccupata, ma, anche se aveva detto ai suoi di fare comunque il giro in barca, li voleva lì con lei a casa.

Quando si fecero le cinque del pomeriggio, Cassandra senza dir niente a Diana, per non farla preoccupare ulteriormente, chiamò un pescatore di sua conoscenza e gli chiese di uscire in barca a cercare i genitori di Diana.

Ulisse, il pescatore, dopo ore di ricerca non riuscì a trovare nessuno. In realtà tornò con una giacca. Cassandra impiegò un attimo per capire a chi apparteneva. Le venne un nodo in gola che le bloccò il respiro. Ormai era chiaro quello che era successo. Nonostante fosse primavera quel giorno c’era particolarmente vento, ma la bandiera non era rossa. E poi il padre di Diana era uscito in barca infinite volte, aveva affrontato viaggi molto più lunghi e pericolosi lontano dalla costa corfiotta. Non si spiegava il seguito degli eventi. Non c’era stato un temporale e il mare non era particolarmente agitato. Non c’era più tempo per pensare. Intanto Ulisse si avvicinava con quella maledetta giacca in mano, fradicia, impregnata dell’acqua che aveva, no, non riusciva nemmeno a farle scorrere dentro alla sua mente quelle parole. Magari non era la sua o magari un colpo di vento, dal bordo della barca, l’aveva sbattuta in mare. Le parole di Ulisse furono taglienti come coltelli: “Cassandra, sono tremendamente dispiaciuto. Non sono riuscito nemmeno ad avvistare la barca dei genitori di Diana. Non vorrei dire una cosa crudele, ma suppongo che non ce l’abbiano fatta. Oggi il tempo sembrava essere non poi così cattivo, ma a volte inganna. Oltre al questa giacca ho visto una parte dell’imbarcazione spezzata che sicuramente apparteneva alla loro. La riconosco perché ogni anno mi occupo di controllare la manutenzione delle barche. Mi dispiace tanto, davvero, ma credo che non ce l’abbiano fatta»

Cassandra faticava a parlare e ogni tanto singhiozzava: «Perché la morte se li è portati via così, oggi, il compleanno della loro bambina. Io non ho la forza di dirglielo.» E cadde sulla spiaggia svenuta.

Gli occhi di Cassandra incrociarono quelli di Diana, già in lacrime perché aveva capito tutto. La ragazza corse nella sua stanza e rimase lì chiusa per giorni. Non mangiava, non dormiva e da quel primo momento non riusciva nemmeno più a piangere. Il dolore era arrivato così improvvisamente che Diana non aveva avuto il tempo di capacitarsi dell’accaduto. Passava intere giornate seduta sul letto a fissare un punto sul soffitto. Non apriva bocca da giorni, non parlava nemmeno con Cassandra. Dopo una settimana venne organizzato il funerale, senza i corpi ritrovati ovviamente, ma Diana non volle andare. Per un mese intero non parlò. La situazione sembrava alquanto preoccupante. Cassandra soffriva quanto lei e non poteva vedere la ragazza così chiusa nel suo dolore. Alla fine i medici pensarono che servisse un bel ricordo, qualcosa che le piacesse fare davvero per farla tornare almeno a parlare e a mangiare un po’ di più. Così Cassandra pensò di far venire Atena che non era ancora al corrente della tragica notizia. Appena lo venne a sapere, si precipitò sull’isola per aiutare la sua unica e grande amica, Diana. Inizialmente Diana non riusciva a parlare nemmeno con lei. Ma poi Atena la fece sorridere e le due ripresero a comunicare con il loro linguaggio segreto. “Dia, non posso vederti così. Mi sento così in colpa. Ti avevo promesso che sarei venuta per il tuo compleanno e invece…”

«La colpa è solo mia Ati. Stavo male, ma sarei dovuta comunque uscire in barca con loro e non pensare a quei maledetti delfini, io e le mie fissazioni»

«Forse non serve pensare a come sarebbero potute andare le cose. È il destino che conduce le nostre vite, forse non potevamo evitarlo. Io sono qui adesso e non me ne andrò più.»

«E gli studi?»

«L’accademia può aspettare. Ora voglio che tu torni a sorridere e a scrivere.»

«No, quello mai più. Ci ho provato i primi giorni. Volevo esprimere il mio dolore, ma niente. Ho come perso tutto.»

«Non dire questo. Forse adesso ti sembra così, ma vedrai che con il tempo.»

«Vedrai cosa? Che le cose si sistemeranno, che tornerò ad essere felice e che mi dimenticherò di mamma e papà? No, questo mai. Sono morta anch’io con loro. Il mare ha rapito anche la mia felicità»

Atena non sapeva più cosa risponderle, così preferì abbandonare la stanza e lasciarla da sola.

I giorni passarono e poco a poco Diana si riprese. Atena sarebbe ripartita all’incirca una settima dopo, ma avrebbe posticipato la partenza nel caso Diana si fosse sentita male o si fosse richiusa in se stessa. Diana mangiava pasti regolari, usciva all’aria aperta a fare lunghe passeggiate, aveva ripreso il corso di ceramica, ma non scriveva. Non aveva più scritto un suo pensiero da quel giorno, il giorno della fine per lei. Atena così partì e Diana poco a poco riprese la vita di prima, senza i suoi genitori però. A tavola faceva lunghe chiacchierate con Cassandra e in certi momenti, anche se per pochi istanti, le tornava il sorriso. Però, se la domestica nominava la scrittura e i suoi libri, Diana cambiava argomento. La ragazza dalla penna d’oro era caduta in un sonno profondo, tanto profondo che sembrava non potesse più guarire. Un giorno però finalmente si sarebbe risvegliata.

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